Un Gargano da scoprire

di Rossella Cerulli

C’è il mare, certo, che lambisce i 70 km di costa. Ma anche grotte, canyon, laghi, scogliere e risorgive. Avamposto roccioso della Puglia che verrà, il Gargano, promontorio ad alta vocazione balneare, racchiude nel suo cuore calcareo un’infinità di segreti. Scritti tutti, in una sequela affascinante di eventi geologici, sulle sue pietre. Da quelle, piatte, del bacino di Varano, a quelle dei litorali morbidi di Peschici, e doppiata Vieste, fino alle falesie incombenti verso e oltre Mattinata. Protette tutte dal Parco Nazionale del Gargano. “Più di 100 milioni di anni fa, quest’area era un paradiso tropicale, simile alle Bahamas”, spiega Michele Morsilli, garganico doc e professore di geologia presso il Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra dell’Università di Ferrara, “con tanto di lagune, dune e barriere coralline ma anche bacini di mare profondo. Accumuli e valanghe di sedimenti hanno dato vita alle rocce garganiche, tutte di origine marina, sollevatisi con la collisione tra le placche, iniziata 30 milioni di anni fa. Gli agenti atmosferici hanno poi modellato i rilievi, provocando fenomeni di erosione, carsismo e raccolta di sedimenti, tuttora in atto. Insomma, vero archivio geologico, tutto da scoprire”. Senza peraltro allontanarsi troppo dall’ombrellone. Anzi, in alcuni casi senza muoversi proprio. Valga in questo senso l’Isola di Varano, 12 km di istmo sabbioso che divide il mare dal lago, uno dei lidi più giovani (solo 4000 primavere!) del promontorio: visto che questa era un’insenatura depressa sull’Adriatico, lungo cui le correnti da ovest verso est hanno creato un cordone dunale. Dando vita ad una geografia mozzafiato, dove con il bel tempo mare e laguna, immobili come specchi, rifulgono cilestrini nella luce calcinata dell’estate. E a una meta gettonatissima di turisti no frills in cerca di pace, garantita dalla scarsità di stabilimenti. Ma la geodiversità, si è capito, da queste parti incombe: a 900 metri dal lago, su un rilievo verso Cagnano Varano, ecco aprirsi, in una scogliera di 25 milioni di anni fa, la grotta dedicata all’Arcangelo San Michele. Meno nota di quella di Monte Sant’Angelo, la cavità, profonda 50 metri, è un antro misterioso dove mito e carsismo si fondono. Tra le orme dei pellegrini medievali scolpite sul pavimento, lo stillicidio di acque e la statua dell’angelo, baluginante sul fondo. Ad evocare liturgie antiche di devozione. A conferma della duttilità del territorio non mancano neanche i canyon: da non perdere quello del torrente Romandato, a soli 6 km dalle spiagge di Rodi Garganico, e i valloni di Pulsano, sotto Monte Sant’Angelo: perché qui, in una sorta di Far West italico, la terra si apre tra gole e strettoie, fino a spalancarsi in pareti a strapiombo. Anche l’alternarsi cadenzato di spiaggette (le cosiddette pocket beach) e promontori, così tipico di queste coste, testimonia i sollevamenti tettonici e il successivo lento accumularsi delle sabbie. Splendido esempio, la baia dorata di Calenella, punteggiata di stabilimenti, per una volta discreti, e ampissimi tratti di spiaggia libera bordata dalla pineta. Dove godersi in pace il tramonto, sotto lo sperone di Monte Pucci, uno dei punti più suggestivi del Gargano.

E qui la morfologia scoscesa si fa complice con la leggenda: secondo la quale il condottiero Ettore Fieramosca si scaraventò in mare da quassù in una notte di tempesta, pazzo di dolore per la perdita dell’amata. Nei secoli però queste rocce tenere hanno favorito anche l’insediamento dell’uomo, che approfittò delle cavità per trovare protezione e degna sepoltura. Da non perdere quindi, sulla spiaggia di Scialmarino, a Vieste, la Necropoli La Salata, nel Parco Archeologico di Santa Maria di Merino, riaperto nel 2018. A costellare per ogni dove l’enorme falesia, in una solennità maestosa, oltre trecento sepolture di epoca paleocristiana, alcune delle quali lambite dallo scorrere di torrenti carsici. Perché l’acqua qui si infiltra a monte e riaffiora a mare. Ma è proprio dopo Vieste, e il pluricelebrato faraglione Pizzomunno, che il panorama si trasforma: le correnti sabbiose da ovest, non riuscendo a seguire il periplo del promontorio, si disperdono al largo. Ecco quindi snodarsi una serie di cale ciottolose e turchine, come Baia di Campi o Baia delle Zagare, presidiate via via dall’incombere di scogliere candide sempre più imponenti. E qui si svela, bianca e accecante, bordata solo dal verde ostinato dei pini d’Aleppo, l’impalcatura del promontorio: dove i sedimenti di organismi marini dal guscio calcareo, morbidi e melmosi milioni di anni fa, schiacciandosi l’un l’altro diedero vita alle stratificazioni orizzontali che segmentano oggi, come le pagine di un libro, il candido della roccia, anche all’interno delle grotte marine. Roccia talmente piatta da potercisi arrampicare, proprio come a Campi, e stendersi a prendere il sole. L’esempio più vistoso di questa stratigrafia? Baia Vignanotica, con i suoi slump, rocce arricciate tra loro come plastilina, antichi fanghi elastici sottomarini, solidificati per sempre in superficie. La geologia si fa qui geoestetica, da ammirare nella sua maestosità. Gargano: oltre il mare c’è di più.